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I grandi momenti del Tour

Bernard Hinault e la maledizione francese al Tour

Il ciclista bretone è l’ultimo vincitore transalpino alla Grande Boucle: sono passati quasi quarant’anni da allora

Piacenza si prepara al Tour de France riscoprendo le pagine più significative della grande storia della corsa gialla. La nuova puntata della rubrica è dedicata all’ultimo campione francese, Bernard Hinault. Dopo l’ultimo dei cinque successi, nel 1985, mai più nessun transalpino ha conquistato la maglia gialla a Parigi. Le precedenti puntate, invece, hanno visto al centro Marco Pantani, Vincenzo Nibali, Gino Bartali, il piacentino Giancarlo Perini, Fausto Coppi e Lance Armstrong.

“Après moi, le déluge”. Dopo di me, il diluvio. I francesi aspettano da quasi quarant’anni un nuovo loro campione sugli Champs-Élysées. Hanno sognato con Richard Virenque, Pierre Rolland, Romain Bardet, Thibaut Pinot. Ma dopo lui, il bretone Bernard Hinault, mai nessun francofono è riuscito a portare la maglia gialla a Parigi. Una maledizione che prosegue ancora, dopo un periodo felicissimo per il ciclismo d’oltralpe: dal ’75 all’85 tra Hinault (cinque volte), Laurent Fignon (2) e Bernard Thévenet (2), i corridori di casa si aggiudicarono nove edizioni della Grande Boucle. Una decade nella quale, ad esempio, l’Italia del pedale dovette accontentarsi delle briciole. Poi, però, sono nati "soltanto" (si fa per dire) velocisti e corridori da classiche - Lauren Jalabert e Arnaud Dèmare, più gli iridati Luc Leblanc, Laurent Brochard e Julien Alaphilippe - ma niente più scalatori in grado di difendersi a crono e portare a casa l'agognata maglia gialla. Hanno riposto molte speranze, poi tradite. E i corridori hanno corso con una tale pressione addosso che spesso questa ha "bruciato" molte energie utili per la classifica generale. 

Anche il nostro corridore di casa, Giancarlo Perini, alla domanda su chi fosse il più grande ciclista della sua epoca, non ha avuto dubbi. Il “tasso” aveva un’altra classe e cilindrata. Lo stesso parere lo esprime spesso, in diverse telecronache, la voce storica del ciclismo di Eurosport, Riccardo Magrini. Per Hinault potrebbe parlare il palmares, oltre ai Tour: un campionato del mondo, tre Giri d’Italia, due Vuelta, due Giri di Lombardia, due Liegi-Bastogne-Liegi. Con dieci “grandi giri” è secondo dietro al cannibale Eddie Merckx. E c’è anche una Parigi-Roubaix, la corsa che odiava.

Sta forse tutta qui la grandezza del bretone. Non poteva sopportare la durezza della Roubaix. La detestava, era una corsa organizzata dai francesi per i corridori belgi che poteva anche pregiudicare la carriera. Cadere sulle pietre non era la preparazione corretta per Giro e Tour. Partecipò una volta, la vinse, salutò tutti, ringraziò e a “mai più”.

Eppure non aveva, in apparenza, il fisico per entrare nel recinto dei più grandi campioni di questo sport. Piccolo, tozzo, con le gambe corte: non gli strumenti adatti per questo mestiere. Però spingeva come un dannato, su quelle gambe, e la smorfia sul volto raccontava la fatica provata nel mantenere rapporti pesanti. Come detto, ha vinto Giro, Tour e Vuelta. Ma li ha fatti suoi tutti al primo tentativo. E può vantare 214 (!) braccia alzate al traguardo, con 29 corse a tappe nel carniere.

Hinault correva da marzo a novembre e, prima dell'attuale generazione di giovani campioni, è stato l'ultimo a comportarsi così. Tanto che viene considerato l'ultimo, in ordine di tempo, dei "grandissimi", ovvero di quella stirpe di corridori in grado di vincere ovunque, sopra ogni terreno.  

Però è molto curioso: i francesi hanno avuto grandi campioni, ma amato di più gli “eterni secondi”. Raymond Poulidor aveva più tifosi di Jacques Anquetil, ad esempio. Uno perdeva i Tour in modo clamoroso, l’altro li vinceva, uno dopo l’altro. Le folle osannavano il primo, nonno di Mathieu van der Poel. E lo stesso metro di misura lo hanno applicato anche agli stranieri. Hanno apprezzato più la combattività del nostro Claudio Chiappucci, rispetto ai Tour controllati (a crono) da Miguel Indurain. E Hinault, “le baireau”, il tasso, era adorato nella sua Bretagna, un vero e proprio simbolo di questa regione, ma non tanto nel resto del Paese.

Forse, dopo un digiuno che dura da quasi quarant’anni, se i "cugini" avessero un connazionale in grado di portare la maglia gialla a Parigi, gli costruirebbero ponti d’oro (e magari qualche percorso ad hoc). E questo campione sarebbe amato dalla Normandia alla Corsica. Intanto che attendono nuovi campioni, la maledizione continua...

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