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Aperta la stagione / Ferriere

Tra il rischio lupi e le restrizioni della peste suina crollano le licenze di caccia

Prima giornata di caccia al cinghiale e alla lepre nel Piacentino. La squadra di Tornarezza prova a resistere: «Con la peste suina non c’è più l’indotto di lombardi e liguri in trasferta. A Ferriere licenze quasi dimezzate per l’incubo lupi»

Una domenica di apertura della caccia “strana”, diversa dalle altre. Negli ultimi mesi due fenomeni hanno turbato la montagna piacentina: la diffusione dei lupi e il rischio di altri casi di peste suina africana. Tradotto: molti cacciatori hanno preferito, per il momento, astenersi, in attesa degli sviluppi futuri. Lupi e peste suina africana hanno infatti quasi dimezzato il numero di cacciatori in Alta Valnure e Valdaveto.

Domenica 1° ottobre era infatti il primo giorno di apertura per la caccia alle lepre e al cinghiale. Un momento anche per fare la conta e scoprire che molti fucili piacentini sono rimasti nella custodia, a casa. «Siamo in difficoltà - ammette Paolo Scaglia, vicesindaco di Ferriere e membro della squadra della frazione di Tornarezza - perché servono quindici cacciatori per formare una squadra. A Tornarezza abbiamo inserito persone di altre zone e arruolato anche un ottantenne per riuscire a formare il gruppo in questa prima uscita della stagione».

Il turno infrasettimanale del mercoledì, per motivi di lavoro, è ormai proibito, a causa dei numeri risicati. «A Tornarezza - prosegue l'amministratore locale - riusciamo a raggiungere la fatidica soglia sufficiente solo nei festivi. La stessa cosa nella vicina Brugneto: in dieci hanno rinunciato alla licenza in questi ultimi mesi. Se guardiamo all’intero territorio comunale di Ferriere, le licenze rilasciate sono praticamente dimezzate. Ci si è messa anche la peste suina africana, con le relative restrizioni, a danneggiare questo comparto».

UNA CINQUANTINA I CANI UCCISI IN UN ANNO

I cacciatori contano una cinquantina di cani uccisi dai lupi, dal settembre 2022 al settembre 2023, nel solo territorio ferrierese. «È troppa la paura - spiega ancora Scaglia - nei confronti dei lupi. Si pensi che i cacciatori di Centenaro sono costretti a cambiare la loro area di battuta, perché dalle loro parti e nella vicina Solaro è stato registrato il più alto numero di uccisioni di cani. Quest’anno va così, è troppo sentito il rischio e il timore di lasciare libero un cane nel bosco».

Proprio la squadra di Tornarezza, nella sua prima battuta, ha cambiato itinerario. Un cacciatore, intorno alle 7, ne ha visti due nei pressi di Casale di Brugneto, nella zona che doveva essere teatro della prima uscita dell’anno. Così si è preferito spostarsi verso la frazione di Colla. Nella prima mattinata sono state prese tre lepri: nel pomeriggio la caccia era aperta soltanto per i cinghiali.

Scaglia non ha paura di definirlo “il grande nemico”. «I lupi sono dappertutto, costringono molte persone a rimanere chiuse in casa con i loro animali domestici. È assurdo che sia così protetto dalle istituzioni. Da queste parti tutti si ricordano che l’ultimo “cacciatore di lupi”, originario di Gambaro, riceveva premi ed encomi dalle istituzioni per la sua attività. E oggi garantiamo così tanta protezione a questo animale in maniera incomprensibile».

E la peste suina come incide sul crollo delle licenze? «Allontana innanzitutto i non piacentini. Perché la carcassa del cinghiale non può uscire dal territorio provinciale, quindi liguri e lombardi, che frequentavano molto volentieri la nostra zona, rinunciano all’attività».

«Sia chiaro - interviene anche Alessandro Bergonzi, il più giovane nella squadra - non sono mica stati uccisi soltanto i cani dei cacciatori slegati nel bosco. In un anno si sono registrate scomparse di cani in diverse frazioni e durante passeggiate di residenti e villeggianti». Bergonzi è poco più che ventenne: cosa lo spinge a procurarsi una licenza di caccia e andare nel bosco armato di fucile? «La caccia è fondamentale - rileva - con il nostro intervento contribuiamo a regolare l’ecosistema. Se una specie è troppo presente emergono diversi problemi». Il giovane ha preso la sua prima agognata licenza a 18 anni ed è figlio e nipote di guardiacaccia. «Il legame con i cani è fortissimo, è il motivo che mi spinge a svolgere questa attività nel bosco. Apprezzo la capacità del cane di scovare l’animale e il feeling che si viene a creare tra me e loro». Nel ferrierese sono molti i giovani che coltivano questa passione, tra loro anche del "gentil sesso". Nella squadra di Tornarezza, ad esempio, sono quattro le donne iscritte.  

VIENE MENO L’INDOTTO GENERATO NEGLI ANNI SCORSI

Il drastico calo di cacciatori nel bosco rappresenta anche un danno economico, fa notare la squadra di Tornarezza. «Un cacciatore - rileva il 33enne Alessandro Rossi - spende all’incirca 550 euro per un anno di licenza, ovvero per una stagione di qualche mese. La cifra comprende l’assicurazione, la tassa governativa, quella regionale e la quota per l’Atc di competenza».

Molti cacciatori lombardi pernottavano nelle strutture ricettive della zona o, addirittura, affittavano appartamenti per tutta la stagione. «L’indotto economico perso - commenta ancora il vicesindaco Scaglia - è ingente. Per il nostro comune era importantissimo, senza caccia niente affitti e niente pasti, oltre alle tasse da pagare per la licenza». Alla locanda “della Bianca” a Castelcanafurone, in Valdaveto, confermano il trend negativo. «Proprio nei giorni scorsi - spiegano i titolari - una compagnia di clienti storici che veniva dalla Liguria ha telefonato per scusarsi dell’assenza. Sono dispiaciuti: a causa della Psa non metteranno piede nella Valdaveto piacentina».

NEL "MIRINO" CI FINISCE ANCHE LA CACCIA

Al vicesindaco giriamo una considerazione di molti. Il “partito” dei contrari alla caccia, negli ultimi anni, ha visto aumentare la propria schiera. Nel 2023, per una buona fetta della popolazione piacentina, questa attività è “anacronistica” e poco legata al procacciamento di cibo. Tesi per nulla condivise né da Scaglia, né dai suoi compagni di battuta: «Da queste parti funziona così, se non sta bene questa cosa, è bene rimanere a vivere in città o in pianura. Ho 59 anni, ho iniziato a 16, fa parte della nostra cultura e della vita della montagna da sempre, non vedo perché dovremmo rinunciare».

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